LA QUESTIONE NORMANNA

Lucien Musset

 

In epoca ducale (con questa definizione si è soliti riferirsi al periodo che va dal 911 al 1204, benché il capo di Rouen non abbia sempre assunto il titolo di duca) i Normanni provarono un senso di grande orgoglio spesso espresso con parole superbe.

Ciò si coglie meglio durante le due generazioni precedente e successiva all' anno 1100.

In questo periodo la grandiosità dei loro successi fu lampante agli occhi di tutti.

Certo gli storici di questi ultimi anni hanno assunto l'abitudine di voler percepire nella fioritura di panegirici la formazione di un tema letterario, di un «mito normanno» che sarebbe stato un'invenzione artificiosa di alcuni brillanti storiografi dell'inizio del XII secolo.

Senza entrare in merito a dettagli cui non sarebbe pertinente accennare in questo contesto, è doveroso accusare tale tesi di falso.

Si leggono certe descrizioni entusiaste dei successi normanni - in latino beninteso - a cura di Normanni stessi, come il monaco Raul di Caen o il canonico Serlon di Bayeux; ugualmente ne parlano il vescovo Baudry de Bourgueil di Orléans, il cronista inglese Enrico di Huntingdon e perfino archivisti monastici come colui che provvide alla stesura di un'introduzione al Cartulario di Mont-Saint-Michel.

È evidente che questo canto all'unisono presuppone un'idea saldamente radicata e ampiamente condivisa, e non unicamente una fantasia letteraria.

Per rimanere imparziali citiamo una pagina particolarmente suggestiva di uno storico inglese: si tratta di uno strano fenomeno psicologico cui lo storico può accennare senza tuttavia poterlo veramente spiegare.

Per più di un secolo, diciamo dal giungere della famiglia degli Altavilla nel sud d'Italia intorno al 1030 e dalla battaglia di Valesdunes nel decennio successivo, fino al periodo della morte di Ruggero di Sicilia e di Etienne in Inghilterra intorno agli anni 1150, questo relativamente piccolo ma prospero e florido ducato di Normandia, che da un punto di vista pratico era un feudo del regno capetingio di Francia, ha dato origine a una razza di uomini che hanno avuto un ruolo determinante nella formazione dell'Europa dell'ovest.

I due regni, la cui organizzazione era la migliore in Europa, ossia l'Inghilterra e la Sicilia, sono passati sotto il dominio normanno.

I talenti guerrieri dei Normanni sono diventati proverbiali e il coraggio dei N ormanni sia a Civitate che ad Hastings, a Palermo e ad Antiochia ha aggiunto in maniera duratura dei capitoli alla storia e alla leggenda militare europea (LOYN, 1984).

In nessun periodo della loro storia medievale e moderna i Normanni smisero di essere coscienti della loro spiccata individualità, coscienza che del resto oggi non è andata completamente perduta.

In epoca ducale, il lessico degli atti, così come quello degli scrittori, distingue accuratamente i Normanni (Normanni) dai Francesi (Franci).

Di certo è successo spesso che i Normanni, visti dall'esterno, fossero ritenuti francesi per via della lingua che parlavano, tanto nell'Italia del sud quanto in Inghilterra: in effetti una tale distinzione si imponeva quando si trattava di differenziare i nuovi arrivati dalle popolazioni preesistenti, tanto più che i nuovi arrivati annoveravano quasi sempre tra le loro fila individui di diversa provenienza regionale, accorsi a condividere la fortuna dci Normanni, come ad esempio i Bretoni o gli Angioini.

Usare la lingua francese era quindi l'unico carattere comune a tutta quella gente venuta da lontano.

Uno dei tratti più salienti dei Normanni della «grande epoca» consiste appunto nell'essere sempre stati ospitali nei confronti di coloro che non potevano fare appello a un' origine nordica.

Fin dal momento in cui, sul finire del X e all'inizio dell'XI secolo, i duchi furono costretti a conferire al ducato una solida struttura, accettarono di trattare alla pari molti Bretoni, Angioini, abitanti sulle sponde della Manica o Francesi purché si adeguassero alla loro politica.

Anche quando intrapresero la dominazione dell'Italia meridionale, la conquista dell'Inghilterra o la fondazione del principato di Antiochia, i Normanni si mantennero fedeli a questa linea di condotta.

Ciò li indusse, di lì a poco, ad adottare un comportamento altrettanto aperto nei confronti degli elementi indigeni incontrati nelle loro conquiste.

La dominazione normanna ha sempre finito col dimostrarsi ospitale, nonostante qualche crisi.

Quando nel corso dell'xI secolo i Normanni sentirono di avere una vocazione per l'espansione lontana, manifestarono, il più delle volte tra di loro, una vera solidarietà, benché temperata da uno spiccato individualismo.

Canterbury, cattedrale: Lot che fugge da Sodoma, 1178-1180 circa (vetrata n.XV, 22)

 

Riportati molti successi, sono spesso intervenuti a tendere una mano caritatevole al paese natio: Roberto il Guiscardo, dopo essersi ben stabilito in Calabria, accettò di finanziare, poco dopo il 1050, la costruzione di una cattedrale nella città ves covile del suo distretto natio, Coutances.

Più tardi, il bottino raccolto in Inghilterra, finanziò in gran parte il compimento degli edifici romanici che tuttora fanno la gloria monumentale della Normandia.

Gli uomini e specialmente i tecnici passavano volentieri da una conquista normanna all'altra: tra costoro lo stesso Tommaso Le Brun, di stirpe normanna, lavorò prima a Palermo per Ruggero II e in seguito a Winchester per Enrico II Plantageneto.

Questo fu un comportamento spontaneo che nulla deve a una fantasia letteraria.

All'inizio, da quando il vichingo Rollone si stabilisce a Rouen (nel 911), esiste una formazione politica in buona parte autonoma capeggiata da una dinastia di origine scandinava, ma tale formazione si può collocare subito nel contesto dello stato franco-occidentale e quindi del suo seguito, il regno capetingio.

Questa strana situazione, abbastanza ambigua peraltro, è stata percepita in maniera diversa a seconda dei periodi e dei luoghi.

Secondo certi autori - ma di questo parere non se ne trovano più dopo il X secolo - il capo di Rouen non è altro che un «capo dei pirati».

Secondo la maggior parte degli storiografi forestieri, costui sarà nel x e all'inizio dell'XI secolo un «conte», più spesso un «conte di Rouen», benché il territorio che egli finisce coll' amministrare si estenda ben al di là dei confini della contea.

Dopo l'ascesa al trono di Francia dei Robertiani (con il nuovo nome di Capetingi), egli assume, e spesso gli viene concesso, il titolo di duca, il più importante cioè dopo quello del re.

Più o meno a partire dalla stessa epoca la sua terra di giurisdizione assume il nome di «Normandia », denominazione che durante il XII e il XIII secolo verrà ampiamente adottata (perfino in Scandinavia).

Tuttavia la maggior parte di queste menzioni appaiono agli occhi dei contemporanei poco convincenti.

Alcuni ritengono che la Normandia sia un «regno» (regnum), il che non significa che il capo ne sia re, ma soltanto che si tratta di una delle grandi entità componenti il mondo franco; nella stessa Normandia si condivide poco tale idea.

Altri considerano il ducato come una «monarchia», altri ancora (più raramente e soltanto dopo il 1066) parlano di un imperium.

Questa terminologia sottolinea il carattere del tutto originale della situazione della Normandia nei secoli XI e XII.

Va subito evidenziata una tra le caratteristiche maggiori della Normandia: nella seconda metà del X secolo, la regione ebbe una delimitazione territoriale molto precisa, quasi invariabile dopo un'ultima annessione compiuta intorno al 1050, quella della zona di Domfront al sud.

La facile reperibilità di questi confini sul posto con un' approssimazione di qualche metro è un aspetto eccezionale per il feudalesimo.

Laddove queste frontiere furono fissate più presto, subito dopo il 911, esse si basano sui tracciati dei corsi d'acqua secondo il vigente uso carolingio, mentre nei casi in cui furono determinate durante la generazione successiva riprendono gli antichi limiti amministrativi.

Non esistono vere e proprie «marche », cioè zone transitorie tra il ducato e i paesi vicini.

La persistenza di questo insieme territoriale è stata garantita fino al 1790 dal fatto che esso costituisce un' area giuridica ben distinta, quella legata al Coutume de Normandie (ordinamento che è ora in uso, e in modo molto parziale, solo in un territorio diventato estraneo alla Francia, l'arcipelago delle isole anglonormanne).

Le imprese lontane dei Normanni non contribuirono ad ampliare il territorio normanno.

Che siano state di tipo privato come nel caso della maggior parte di imprese analoghe condotte in Italia, in Spagna, nei Balcani, ad Antiochia o in Irlanda, o che abbiano avuto un carattere pubblico come la spedizione in Inghilterra del 1066, esse hanno rispettato l'individualità dei paesi sottomessi.

 

 

Nemmeno la nascita di una monarchia anglonormanna (dal 1066 al 1204 con qualche interruzione) abolì in alcun modo le strutture tradizionali: il ducato di Normandia continuò a dipendere dal regno di Francia, mentre l'Inghilterra vi risultava totalmente estranea.

Ma quell' espansione contribuì ad accrescere in maniera cospicua il prestigio e il potere dei Normanni del ducato.

Come i loro remoti antenati vichinghi, i Normanni dell' epoca ducale manifestavano un temperamento irrequieto, soprattutto a partire dai primi anni dell'xI secolo quando scoprirono che la guerra terrestre permetteva loro di esternare ottime potenzialità militari, trarre guadagni cospicui, arricchirsi, ed eventualmente procurarsi una terra in cui stabilirsi.

Di volta in volta tentarono la fortuna, con risultati impari in paesi molto differenti: nella metà settentrionale della Spagna, nella metà meridionale dell'Italia, nell'impero bizantino e nelle zone succubi della Dalmazia e dell' Anatolia, nella Siria del nord e infine in Irlanda e in Tunisia.

Va aggiunto che senza che ci fosse mai stata una conquista, essi si infiltrarono con molto successo in Scozia.

La portata di quest'espansione non si spiega affatto adducendo un sovrappopolamento della Normandia o scarse risorse dei suoi abitanti.

Per quanto ne sappiamo, la densità di popolazione del ducato è buona, ma nei bocages del sud (terra di pascoli delimitata da scarpate con alberi) e nelle zone di frontiera resta molto spazio libero per una eventuale colonizzazione (il che succederà appunto dal X al XIII secolo) e il paese viene giudicato ricco.

I duchi dell'inizio dell'XI secolo hanno volentieri riscoperto il ruolo di mecenate all'estero.

A spingere i Normanni all' espatrio furono piuttosto un generico desiderio di mobilità e la volontà di migliorare la propria posizione sociale, o più semplicemente di arricchirsi a spese altrui.

La qualità dei risultati conseguiti, d'altra parte, non deve far dimenticare che il numero delle partenze non dovette mai essere ragguardevole: forse alcune centinaia all' anno verso l'Italia, senz'altro un numero maggiore verso l'Inghilterra dopo il 1066, ma quantitativi decisamente più esigui verso le altre destinazioni, a eccezione della prima crociata.

Circa le partenze più note, esse sembrano aver interessato prevalentemente i ceti dirigenti e la media nobiltà, ma evidentemente ve ne furono molte altre cui i testi letterari non fanno allusione; a quanto pare pochi contadini se non nessuno, alcuni chierici e qualche borghese, soprattutto nel caso dell'Inghilterra.

La maggior parte degli emigranti partivano senza speranza di ritorno.

Il duca, il più delle volte, confiscava le terre da essi lasciate, se non erano già state consegnate a qualche chiesa in cambio del denaro indispensabile per affrontare le spese del viaggio.

È in questi termini che si svolgeva la partenza verso le destinazioni più remote.

Invece l'Inghilterra era troppo vicina e la traversata per raggiungerla troppo corta (meno di una giornata con il vento favorevole) perché i nobili partendo rinunciassero ai loro beni in Normandia, tanto più che non facevano altro che rispondere a un appello del loro duca.

Nei limiti del possibile l'aristocrazia trapiantata in Inghilterra conservava dunque le sue terre in Normandia e disponeva ormai di un patrimonio su entrambe le rive della Manica; in linea di massima fu così fino al 1204.

Tuttavia in generale le acquisizioni inglesi venivano considerate con una maggiore disinvoltura rispetto al vecchio patrimonio continentale, gestito di solito con una certa parsimonia.

Non tutte le regioni della Normandia furono colpite da quest' esodo, né tantomeno attirate dalle stesse destinazioni.

La parte occidentale del ducato, meno ricca e rimasta forse più vicina allo spirito vichingo, fornì il più importante contingente di emigranti diretti tanto verso l'Italia quanto verso l'Inghilterra.

La diocesi di Sées, al sud, mandò più delle altre la sua gente a tentare la fortuna in Spagna.

Ma alla fine tutta la Normandia partecipò a questo ampio movimento.

Durante l'XI secolo, la mobilità si riscontra, anche se in misura minore, in altre regioni; altrove essa si tradusse in generale soltanto in qualche spedizione limitata e puntuale.

I Normanni vollero provare le possibilità di successo per tutto un secolo e quasi in tutti i paesi.

Ebbero poca fortuna in ambito spagnolo, mentre in territorio italiano riuscirono in maniera eccezionale.

In Inghilterra trassero profitto da circostanze favorevoli: tra i due paesi si erano instaurati stretti rapporti ben prima del 1066.

La dinastia reale del Wessex, momentaneamente estromessa dai Danesi, era venuta a mettersi al riparo proprio in Normandia, e molti Normanni l'avevano accompagnata al suo ritorno nel 1042.

Altri legami risalivano alla colonizzazione scandinava del x secolo.

Da ciò traspare come non si possa considerare 1'espansione normanna un fenomeno uniforme.

Al contrario, adeguandosi con notevole duttilità alle più diverse circostanze nel tempo e nei luoghi e traendo quindi profitto dall' esperienza e da ogni situazione, essa fu differenziata.

N elI' espansione dell'xI secolo tale peculiarità è senza dubbio l'elemento che meglio ricorda l'epoca vichinga.

Negli altri casi le modalità furono del tutto differenti.

Tranne verso le isole britanniche, le migrazioni dell'xI secolo si svolsero interamente per via terrestre e più tardi, per approdare in Sicilia, i Normanni d'Italia dovettero mettersi alla scuola dei marinai bizantini.

Malgrado motivazioni di ordine innanzitutto temporale, le imprese dell'xI secolo videro spesso aggiunta una connotazione di tipo religioso, invocata per lottare contro i Musulmani in Calabria e quindi in Sicilia, e anche da Guglielmo il Conquistatore nel 1066, in maniera abbastanza abusiva del resto.

Non si tratta però che di una sfumatura di scarso rilievo: i Normanni, salvo in Oriente, non furono dei crociati e dimostrarono di fronte alle civiltà più estranee alle loro tradizioni una singolare apertura mentale.

Allo stesso modo, conquistati da poco tempo alla cultura latina, i Normanni, per lo più analfabeti, non pensarono di esercitare alcun imperialismo culturale.

Se in Inghilterra la civiltà anglosassone era stata abbastanza rapidamente ridotta a livelli insignificanti per scomparire pressappoco negli anni immediatamente successivi al 1100, sappiamo invece di sicuro con quanta flessibilità la corte di Palermo finì con 1'accettare, quasi a pari titolo, tre lingue per i documenti ufficiali, ossia il greco, l'arabo e il latino.

Vennero anche protetti con imparzialità autori che professavano sia la religione cattolica latina, sia 1'ortodossia greca o 1'islam: simbiosi unica nel mondo medievale che si avvicina a una vera prodezza.

La qual cosa non sarebbe durata più di una generazione.

Così, se i Normanni hanno contribuito a diffondere nella maggior parte dei paesi conquistati istituzioni consimili, ovvero quelle di una «monarchia feudale» basata su sperimentate tecniche militari, finanziarie e amministrative, essi non lo fecero affatto per ideologia, bensì per spirito pratico nell'intento di ottenere un giusto rendimento.

Se portarono in questi paesi una certa novità architettonica, lo fecero per affermare rapidamente e chiaramente agli occhi di tutti il loro prestigio e la loro autorità; non fu affatto il risultato di un non so quale «apostolato artistico», difficile da immaginarsi a quell' epoca.

Dal momento che essi non avevano elaborato ancora forme scultoree nuove, questo rimane spesso il loro punto debole, prima che nel 1100 o qualche anno prima, aderiscano a processi di geometrizzazione abbastanza scarni: le loro chiese siciliane poterono aprirsi a una decorazione di tradizione bizantina o araba.

In complesso, qualunque sia la nostra opinione circa l'azione dei Normanni e qualunque sia il nostro giudizio sulle sue conseguenze - per molto tempo in Inghilterra fu di moda ritenerle disastrose - rimane comunque un fatto di cui non sarebbe lecito dubitare: dalla Sicilia alla frontiera angloscozzese e perfino oltre, i Normanni hanno lasciato profonde tracce che, per quanta poca attenzione vi si presti, si possono scorgere ancora oggi.

La mostra con i vari settori di cui si compone e il presente catalogo aiutano chiunque a riscoprirle.

 

Bibliografia: DOUGLAS, 1969; MUSSET, 1967 e 1974; DAVIS, 1976; DOUGLAS, 1976; LE PATOUREL, 1976; BATES, 1982; BROWN, 1984; LOYN, 1984; MATTHEW, 1987; MUSSET, 1983 e 1988.

 

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