LA
«GENS NORMANNORUM»: NASCITA DI UN MITO LETTERARIO G.
A. Loud I
Normanni ... sono un popolo di guerrieri e dalle guerre difficilmente
riescono a stare lontani. Audaci
nell' avventarsi contro il nemico, ma pronti ad usare ogni inganno quando
la sola forza fisica non è più sufficiente … invidiano i loro pari, desiderano
primeggiare sui loro superiori e depredano i sudditi, quantunque li
difendano dagli altri; pur essendo fedeli ai loro sovrani, si vendicano
alla minima offesa. Considerano un' azione più o meno sleale solo in
relazione alle possibilità di ricavarne un esito favorevole. Questo
è il racconto di Guglielmo di Malmesbury, cronista anglonormanno,
databile intorno al 1125, al quale fecero eco gli scrittori contemporanei. Pochi
anni dopo un altto cronista inglese, Enrico, arcidiacono di Huntingdon,
scriveva che «Dio aveva scelto i Normanni per umiliare la nazione
inglese, perché Egli si era reso conto che erano più spietati di
qualsiasi altro popolo. Tale
era la loro natura che le genti da loro sottomesse si trovavano in
condizioni di estremo disagio; essi stessi e i loro territori
erano ridotti in povertà e rovina», Agli occhi degli scrittori
del XII secolo tre erano le caratteristiche principali del popolo
normanno: la fierezza in battaglia, il numero delle conquiste effettuate e
la propensione a conflitti interni (a meno che non si trovasse sotto il
controllo di un forte potere sovrano). In
realtà questa visione rappresentava il distillato di un mito letterario
che, a partire dal 1120, quando scrivevano Guglielmo di Malmesbury ed
Enrico di Huntingdon, aveva alle spalle una lunga storia. L'origine
deve essere fatta risalire a Dudone di Saint-Quentin che, per primo, a più
di un secolo di distanza, ne aveva sviluppato il contenuto; quindi molto
tempo prima della conquista dell'Inghilterra e precedentemente alla venuta
dei Normanni nell'Italia meridionale, visto che Dudone scrisse la sua
Storia dei duchi normanni dietro richiesta di Riccardo I di Normandia,
morto nel 996. Lo
scopo originario di Dudone era quello di legittimare il ruolo della
famiglia ducale normanna, da lui dipinta come lo strumento scelto da Dio,
attraverso il quale era stato possibile convertire al cristianesimo i
popoli scandinavi di religione pagana insediati in Normandia. Il
matrimonio tra Riccardo I e la duchessa Gunnor (che divenne la protettrice
di Dudone e la sua principale fonte di informazioni), unendo la già
affermata stirpe dei duchi di Normandia - o più propriamente in questo
periodo, conti di Rouen - alla nuova forza coloniale degli Scandinavi e
congiungendo i due gruppi in un unico popolo cristiano, portò a
compimento questo processo. Al
di là di questo, la Storia di Dudone era significativa per la maniera
in cui vi venivano esaminati i Normanni stessi. Ricerche
moderne suggeriscono che l'impatto scandinavo nella Normandia del X secolo
fu relativamente limitato. I
nuovi arrivati si insediarono in un certo numero nella valle della Senna e
nella penisola del Cotentin, contraendo una grande quantità di matrimoni
con gli abitanti del luogo. Inoltre
la colonizzazione scandinava si svolse gradualmente, e vi furono coinvolti
sia i Danesi che i Norvegesi. Rollone,
il primo duca, era quasi certamente di origine norvegese e non danese come
sosteneva Dudone. Questi
tuttavia riteneva i Normanni una gens, un popolo dalla discendenza comune
e, ponendoli in netto contrasto con l'astuto ma non ardito popolo dei
Franchi, ne evidenziava la crudeltà e il valore militare. Creò
per questa gente una complessa «preistoria»; riteneva infatti i Normanni
di provenienza danese, ma fondamentalmente di nascita troiana. Secondo
l'autore, l'antico popolo dei Troiani, attraverso una serie di migrazioni,
avrebbe in principio assunto il nome di Daci, poi di Danesi e infine,
grazie all'insediamento nel nord della Franeia e alla successiva
conversione al cristianesimo, quello di Normanni_ Nel racconto di Dudone,
Rollone, l'antenato della stirpe ducale, era palesemente modellato sul
personaggio di Enea. La
leggenda della discendenza dai Troiani non era prerogativa dei Normanni. Nel
medioevo altri scrittori costruirono miti allo scopo di illustrare
l'origine delle proprie genti, e alcuni di questi attinsero a Troia come
fonte dei loro avi. La
Storia dei Franchi di Fredegario, risalente al VII secolo, ne costituisce
l'esempio più antico. Come
per i Normanni, anche negli altri casi l'obiettivo era quello di fornire
ciò che gli antropologi definiscono «un mito-documento», elaborare cioè
la storia per un popolo nuovo che diversamente ne sarebbe stato privo. Di
conseguenza non è possibile considerare l'opera dei cronisti normanni
come a sé stante, ma piuttosto come un esempio particolarmente notevole
di una pratica comune nel mondo intellettuale dell'altomedioevo. Questa
a sua volta derivava dalla letteratura classica, dalla quale proveniva
anche il concetto della unicità e peculiarità del carattere di un
determinato popolo, la cui causa risiedeva nella identificazione di una
origine comune. Dudone
fu il primo a diffondere il tema, in seguito ripetuto e ampliato, dei
Normanni come popolo fiero e bellicoso (gens belligera et effera). Un
secondo punto sul quale Dudone insisteva particolarmente era la
spregiudicatezza dei Normanni come razza di conquistatori abituati a
sottomettere e a ridurre in stato di sudditanza i popoli confinanti. Anche
questo tema trova riscontro nelle opere degli autori più tardi. Di
fatto questi avevano più ragioni per dare risalto al tema delle conquiste
normanne di quante ne avesse Dudone, il quale esagerava notevolmente i
successi militari dei suoi eroi. Tuttavia
si deve a lui anche questa parte del mito letterario normanno. L'opera
di Dudone fu riveduta e ampliata diverse volte. Intorno
al 1070 Guglielmo, monaco dell'abbazia di Jumièges, scrisse le Gesta dei
duchi di Normandia. A
una versione abbreviata della Storia di Dudone (ma seguendone ancora la
divisione in quattro libri) aggiunse il racconto, in tre libri, della
storia dei Normanni dall'avvento al trono del duca Rlccardo II fino ai
suoi giorni. La
vicenda si concludeva con la descrizione e la giustificazione della
conquista d'Inghilterra. Guglielmo
concordava ancora con Dudone nel ritenere i Normanni un unico popolo, una
gens ben distinta in virtù di una comune discendenza e caratterizzata dal
valore militare. Il
testo di Guglielmo fu a sua volta interpolato, riveduto e corretto. La
cosiddetta redazione «B» fu elaborata negli anni Novanta, forse a Rouen. Questa
stesura comprendeva, tra l'altro, una serie di aneddoti concernenti le
prodezze di Riccardo II e Roberto L Quelli riguardanti Riccardo II
derivavano con ogni probabilità da una Chanson de Geste oggi perduta,
dedicata al duca stesso. La
redazione «E», scritta nel monastero di Saint-Evroult fra il 1109 e il
1113, costituisce l'anello successivo della catena. Probabile
autore di questa versione fu il celebre cronista di Saint-Evroult,
Orderico Vitale, ma l'identificazione non è del tutto certa. Ultimo
della serie fu un monaco di Bee, Roberto di Torigni, che dopo il 1135
riscrisse e ampliò le Gesta dei duchi di Normandia, integrando il
racconto con un ottavo libro contenente la descrizione del regno di Enrico
I d'Inghilterra come duca di Normandia. Questo
processo di revisione e ampliamento dell' opera di Dudone di Saint-Quentin
si rivelò estremamente importante. Da
un lato perché il testo continuò a svolgere nei secoli la funzione di
storia semiufficiale (nel contempo favorita dalla famiglia ducale e a essa
dedicata), dall'altro perché fu oggetto di una distribuzione a vasto
raggio delle varie versioni, di cui sopravvivono al giorno d'oggi più di
quaranta manoscritti databili prima del 1200. In
Inghilterra e in Normandia l'opera di Dudone e quella di Guglielmo di Jumièges
influenzarono altri scrittori. Fra
questi, i più importanti possono essere considerati Guglielmo di
Poitiers, autore delle Gesta del duca Guglielmo (il Conquistatore),
scritte intorno al 1073, e Orderico Vitale che a più riprese, tra il 1115
e il 1141, elaborò la ponderosa Storia ecclesiastica dell'Inghilterra e
della Normandia. Guglielmo
di Poitiers focalizzò l'attenzione sui suoi eroi, del cui carattere fornì
un ritratto tanto lusinghiero quanto poco convincente. Diversamente
Orderico Vitale incentrò il suo interesse sulla storia della Normandia in
relazione a quella del monastero da cui proveniva e delle famiglie che lo
proteggevano. Entrambi,
comunque, usarono e svilupparono il tema dei Normanni come popolo di
conquistatori par excellence. Inoltre
Orderico non si limitò a trattare della conquista dell'Inghilterra ma
anche delle gesta normanne nell'Italia meridionale e della prima crociata. (Le
imprese di Roberto Il duca di Normandia durante la crociata erano narrate,
con grande esagerazione, da quei cronisti normanni attivi in Inghilterra,
quali Guglielmo di Malmesbury ed Enrico di Huntingdon). In
realtà l'obiettivo principale di Orderico era quello di mostrare non
tanto le conquiste effetfUate dai Normanni, per quanto importanti, ma la
vera natura del loro temperamento: di indole guerriera al punto che senza
la disciplina di un governo solido si sarebbero rivoltati facilmente l'uno
contro l'altro, fino a dividersi come la Bestia dell'Apocalisse. In
questo modo l'autore interpretava e svolgeva ancora una volta il motivo
del carattere peculiare della razza normanna già espresso da Dudone e da
Guglielmo di Jumièges. Lo
stesso fece Guglielmo di Poitiers la cui descrizione della falsa fuga
nella battaglia di Hastings rappresentava l'esempio di come, usando
l'astuzia, i Normanni avessero ottenuto la vittoria laddove il coraggio da
solo si è rivelato insufficiente. Le
velleità militari del popolo normanno e il loro distinguersi come tazza
di conquistatori erano i temi affrontati dai cronisti che descrivevano la
conquista dell'Italia e della Sicilia. Amato
di Montecassino (1080 circa) cominciò con il narrare le imprese contro i
Musulmani in Spagna, la conquista dell'Inghilterra e la carriera del
mercenario normanno Roussel di Bailleul al servizio di Bisanzio, prima che
questi scrivesse la storia della dominazione normanna in Italia. Come
gli scrittori anglonormanni, anche quelli italiani sottolineavano il fatto
che i Normanni non esitavano a ricorrere ad astuzie e stratagemmi vari per
assicurarsi il successo. Nelle
Gesta di Roberto il Guiscardo (1095-1099 circa), Guglielmo di Puglia
narrava che i Normanni stavano ben attenti a non lasciare che alcuno dei
principi longobardi, presso i quali prestavano servizio come mercenari,
riuscisse ad assicurarsi la totale vittoria sugli altri; in tal modo
questi si sarebbero fatalmente indeboliti e nulla avrebbe impedito ai
Normanni di dominare il paese. Goffredo
Malaterra, attivo a Catania attorno al 1100, raccontava come una volta il
suo eroe, il conte Ruggero di Sicilia, aveva aspettato finché i
Musulmani, che lo assediavano a T mina, nel tentativo di ripararsi dal
freddo dell'inverno, avessero bevuto molto vino e si fossero addormentati
mentre erano di guardia, e che grazie a questa circostanza li aveva fatti
massacrare dalle sue truppe. Goffredo
Malaterra poneva particolare enfasi sul concetto di strenuitas dei
Normanni, la grande energia e la fibra morale che li tendeva capaci di
superare le maggiori difficoltà e di vincere gli ostacoli più gravi. Tuttavia
li considerava anche «un popolo molto scaltro, ansioso di vendicare le
offese, guidato più dal desiderio di guadagnare le proprietà altrui che
da quello di coltivare le proprie terre di origine, avido di potere». In
Italia i due gemelli Roberto il Guiscardo e Ruggero il Gran Conte erano le
figure predominanti tra i Normanni, dei quali incarnavano tutte le qualità. Di
fatto il mito letterario normanno, così come venne affrontato nell'arco
di un secolo e mezzo dai cronisti in Normandia, in Inghilterra e
nell'Italia meridionale, si rivela di notevole consistenza. Gli
scrittori posteriori svilupparono e diffusero la saga della ambiziosa e
guerriera gens
Normannorum, ma il motivo fondamentale del carattere del popolo
normanno era stato avviato da Dudone di Saint-Quentin intorno all'anno
Mille. Bibllografia:
JAMlSON, 1938; LOUIS, 1958; NITSCHKE, 1961; BOEHM, 1969; OAVIS, 1976;
CAPITANI, 1977; VAN HOUTS, 1980; LOUO, 1981; REYNOWS, 1983; SEARLE, 1984.
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