Tonino CERAVOLO
e Bruno di Colonia. Leggende agiografiche, iconografia, storia1. Per una singolare coincidenza temporale, nove secoli orsono, tra il giugno e l’ottobre del 1101, Ruggero d’Altavilla e Bruno di Colonia giungevano entrambi al loro dies natalis. I loro percorsi esistenziali, diversamente orientati al negotium mondano e all’otium monastico, avevano cominciato ad “incrociarsi” circa dieci anni prima, quando Bruno, lasciata la Curia romana e rifiutato l’arcivescovado di Reggio Calabria, era giunto nel deserto calabrese di Santa Maria della Torre - donato proprio dal Gran Conte - per riprendervi l’esperienza eremitica cominciata alla Chartreuse (1084) e interrotta in seguito all’appello del papa di raggiungerlo a Roma. Bruno - secondo la scarna notizia della coeva cronaca Magister - ardeva d’amore per la solitudine e la quiete perdute (Wilmart 1926; Lettres 1988: App. I) e la Calabria, terra di anacoreti, diventava il luogo in cui ridare pieno vigore al suo progetto spirituale di un rinnovamento interiore avente come solo scopo l’unione con Dio nella contemplazione. Questo progetto, di cui sono visibili tuttora le mirabili tracce lasciate nelle due Lettere composte nell’eremo della Torre, andava in Calabria a “saldarsi”, di fatto, al processo di latinizzazione della Chiesa meridionale concordemente avviato dal papato e dai principi normanni. In questo crogiolo costituito di tensioni spirituali, radicali scelte di vita, turbinosi eventi politici ed ecclesiali, occorre individuare lo sfondo sopra il quale si staglia il rapporto tra due uomini - Bruno e Ruggero - “divisi” per formazione, scelte e prospettive, l’uno attratto dal silenzioso ufficio di Maria e l’altro indaffarato nel più agitato ufficio di Marta. Le fonti diplomatiche coeve, spesso al centro di querelles storiografiche riguardanti la loro autenticità (Laporte 1960: 269 sgg.; Pontieri 1964; Dubois 1968; Enzensberger 1977; Brühl 1978; Caminada 1981; Ménager 1983), documentano senza incertezze l’esistenza del legame che venne a stabilirsi tra Bruno e Ruggero e che le fonti successive (agiografiche, iconografiche e persino folkloriche) si incaricheranno di tramandare ulteriormente, aggiungendovi nuovi episodi che non trovano riscontro nella documentazione superstite relativa allo scorcio dell’XI secolo. Alcune di queste fonti diplomatiche andranno, qui, rapidamente richiamate. Il primo atto - successivamente confermato da Teodoro Mesimerio, vescovo di Squillace, e dal Papa Urbano II - è il Privilegium I, “Notum esse volumus”, del 1091, con il quale il Gran Conte donava agli eremiti non soltanto il luogo solitario, situato tra Arena e Stilo, su cui edificare le celle dell’insediamento monastico, ma pure le foreste circostanti, i terreni, le acque, le montagne, preoccupandosi di rendere immune il possesso monastico da qualsiasi peso e ingerenza e di assegnare un certo Mulè, con i suoi figli, «perché custodissero la selva» (Tromby 1773-1779, II: LXV). Il secondo Privilegio ruggeriano – “Notum sit omnibus” - successivo di due anni, delimitava i confini del territorio della prima donazione, riportando alcuni toponimi - e tra essi quello di Serra («inde vadit per serram ejusdem montis, usque ad Malareposta») - in parte esistenti ancora oggi (De Rigetis: 54-56). Nell’agosto del 1094, in occasione della festa dell’Assunta, veniva consacrata e dotata la chiesa dell’eremo, come riporta la coeva Charta Consecrationis: Io Alcherio Nic. ... Arcivescovo di Palermo consacrai questa chiesa nel nome di Dio, della Beata Maria Vergine, sua madre, e del Beato Giovanni Battista, in presenza dei vescovi di Mileto, Tropea, Nicastro, Catania e Squillace, insieme con Ruggero conte di Calabria, con la contessa Adelaide, con maestro Bruno e Lanuino e con gli altri fratelli eremiti presenti... Nel contesto delle donazioni normanne assume una particolare rilevanza, per le controversie che ne seguiranno, il cosiddetto Privilegium magnum - “Gloriosus Rex David” - del 1098/1099, nel quale per la prima e unica volta, vivente San Bruno, viene nominato il monastero di S. Stefano (Ibidem: 57-60). La circostanza è apparsa ad una parte autorevole della recente critica storica (Laporte e Posada, per esempio) fortemente sospetta, tanto che la presunta inautenticità del diploma in questione renderebbe inattendibile lo stesso riferimento a S. Stefano. Resta il fatto che tra l’uomo di preghiera e l’uomo d’azione, entrambi, sebbene diversamente, impegnati nell’edificazione dell’eremo calabrese, vennero a stabilirsi - per usare le parole di Dom Maurice Laporte - delle relazioni «particolarmente cordiali», anche perché San Bruno, che giungeva in Calabria provenendo direttamente dagli ambienti della corte papale, quasi inevitabilmente doveva suscitare, per il grande “fascino” della sua figura, la speciale attenzione di Ruggero (Laporte 1960: 309-310). Se mettiamo da parte le attestazioni diplomatiche, altri segni di questo legame, pur nelle incertezze della memoria storica, non mancano. Secondo una tradizione storica locale, riportata da Dom Benedetto Tromby nella sua Storia critico-cronologica, sarebbe stata, infatti, una delle figlie del conte Ruggero d’Altavilla a donare al monastero certosino calabrese un antico e prezioso reliquiario contenente molti insigni reperti sia corporali che materiali (Tromby 1773 - 1779, IX: 345). Le modalità esatte della donazione e l’identità del donatore - non riscontrabili, a quel che sembra, nei documenti dell’epoca - non sono, tuttavia, da accogliere in maniera univoca. Se è vero che Mons. Andrea Perbenedetti, nella sua Visita Apostolica compiuta nella giurisdizione certosina nel 1629, riferì che le reliquie erano state donate da papa Urbano II a Ruggero il Normanno e da questi lasciate all’eremo calabrese, Don Bruno Tedeschi - la cui attendibilità risulta non poche volte problematica -attribuì la donazione del reliquiario ad Adelasia del Vasto, terza moglie di Ruggero I (Ceravolo 2000: 53). Fuor di dubbio è, però, da ritenersi l’importanza attribuita dai monaci calabresi al prezioso repositorium, «[...] ligneum a parte posteriori et vitreatum et deornatum ex parte anteriori et cum maxima veneratione retentum», come informa la cinquecentesca Platea della Certosa (La Platea di S. Stefano del Bosco 1997-1998, I: 20). La doviziosa serie di reliquie che vi erano custodite attirò l’attenzione di eruditi e viaggiatori, tra i quali Gabriele Barrio, che ebbero modo di scorgere pignora di numerosi santi, perlopiù riconducibili a modelli di vita ascetica, ma anche reperti direttamente collegati alla vita e alla passione di Gesù (Ceravolo 2000, 53-55). * * * 2. Anche alcune leggende, insistentemente tramandate dalla tradizione agiografica, stabiliscono una stretta relazione tra Ruggero I e Bruno di Colonia, al punto che il reciproco aiuto in frangenti difficili e la solidarietà spirituale in momenti importanti sembra caratterizzare in modo particolare la relazione tra i due. In base alla prima di queste leggende sarebbe dovuta alla scoperta di San Bruno in preghiera tra i boschi delle Serre fatta dai cani del Gran Conte, durante una battuta di caccia, l’origine della fondazione della chiesa di S. Maria della Torre, essendosi il conte mosso a prodigalità per le dure condizioni di vita degli eremiti (Ceravolo 1999: 32-34). Non si va lontano dal vero se si ritiene che il motivo agiografico, presente in un’altra leggenda di fondazione collegata ai normanni e relativa al santuario calabrese della Madonna di San Luca (Montesanto 1997: 80), abbia goduto di grande fortuna anche perché già riportato nella cinquecentesca Vita B. Brunonis di François Du Puy, una sorta di biografia ufficiale del santo, inserita, tra l’altro, nell’edizione parigina di Jodocus Badius Ascensius delle opere complete di San Bruno (Brunonis 1524: CCCCXCIX sgg.). Nella cinquecentina ascensiana troviamo, oltretutto, a corredo della narrazione, una xilografia che la illustra e che costituirà il prototipo iconografico delle diverse altre illustrazioni a stampa successive (figg. 1-3). Della leggenda resta pure traccia in un canto popolare, ritrovato da Apollo Lumini a Piscopio e giudicato «l’unica storia religiosa e civile che noi abbiamo [...] di origine calabrese» (Lumini 1888): [...] Chi va juntandu comu nu ‘jumentu Pigghia di carchi Dio di carchi santu. «Dimmi ti chi fai jocu o faggimentu». «Conti Ruggeri mu chiama ‘ssi cani Ca su lu frati Bruno veramenti». «Mentri chi si frati Bruno veramente Come stai ritiratu a chissi canti?» Nu conti Ruggeri miu, si mi voi beni Na chiesiola mi avarissi fari? La chiesiola di Santa Maria Sempre a lu mundu mu pregu pe tia [...]
Altrettanto nota è l’altra leggenda, che ha la sua origine nel già citato Privilegium magnum, secondo la quale Bruno sarebbe apparso in sogno a Ruggero, durante l’assedio di Capua, per avvertirlo del “tradimento” di Sergio, «natione Graecum Principem», e di duecento armigeri a lui fedeli, salvandolo, così, da una probabile morte. La stessa iconografia bruniana si è ispirata al dettato delle fonti scritte per rappresentare questa visione di Ruggero, di cui costituiscono celebri traduzioni figurative un bassorilievo marmoreo del brandemburghese David Müller, conservato oggi nella Chiesa Matrice di Serra San Bruno, un’incisione di Giovanni Lanfranco e Theodor Krüger (fig. 4) - ristampata anche nella Storia del Tromby - e un’altra gravure di François Chauveau (fig. 5), tratta dal ciclo sulla vita di San Bruno dipinto da Eustache Le Sueur per il chiostro della Certosa parigina (Leoncini 1993: passim). La scena è presente, insieme ad altre consuete leggende agiografiche bruniane, anche nel frontespizio figurato della seconda edizione delle Opera Omnia del santo, curata da Teodoro Petreio e pubblicata a Colonia nel 1611. Il particolare dell’apparizione in sogno - negato nel testo del documento dallo stesso Bruno - sembra da interpretare, secondo un’acuta osservazione di Dom Basilio Caminada consegnata ad una nota dattiloscritta, come un espediente agiografico inserito nel diploma per giustificare le donazioni che vi erano contenute. Ancora un’altra leggenda racconta di come il conte bramasse «[...]di assicurare a pro del suo Regno la discendenza nella sua gloriosa famiglia, e riputando essere S. Brunone un valevole intercessore appresso Dio per ottenergliela, lo pregò instantemente, che si degnasse impetrargli un altro figlio, che aggiungesse sostegno alla sua Casa, e felicità ai suoi popoli» (Zanotti 1741: 127). Desiderio che San Bruno, secondo le fonti agiografiche, non tardò ad esaudire, suggellando il lietissimo evento - a stare al Rhitmhus in Nativitate Rogerii composto dal monaco Maraldo, che sarebbe vissuto al tempo di San Bruno - anche tramite il battesimo del futuro Ruggero II, amministrato da Bruno stesso durante una cerimonia tenuta a Mileto (Tutini 1660: 9; Tromby 1773-1779, II: App. II, LXX).
* * * 3.
Non è qui possibile procedere ad un esame circostanziato del legame che
si stabilì tra Bruno e Ruggero, ma, seppur brevemente, occorrerà almeno
ricordare come tale legame, in concorso con il falso storico che ha voluto
vedere in San Bruno l’ispiratore della prima Crociata (Laporte 1960:
242-249), sia stato considerato, da una parte della storiografia sui
certosini, una dimostrazione di un presunto ruolo “politico” del santo
in Calabria. Tale prospettiva non ha risparmiato neppure i critici più
attenti delle leggende agiografiche bruniane, alcuni dei quali - è il
caso, ad esempio, del Ravier - pur presentando San Bruno come maestro di
vita contemplativa, vi hanno intravisto degli elementi che «[...]
apparentemente rimangono esteriori all’ideale eremitico di Bruno, ma che
a lungo andare rovineranno la sua opera» (Ravier 1970: 194), snaturando i
caratteri originari della fondazione calabrese e creando le premesse per
il passaggio del monastero all’ordine cister (La) Platea di S. Stefano del Bosco 1997-1998, a cura di P. De Leo, 2 voll., Soveria Mannelli, Rubbettino Editore. (Un) Certosino [= G. M. Posada] 1998, San Bruno maestro e padre di monaci, trad. it., Roma, Città Nuova. [Caminada, B. M.] 1981, Don Benedetto Tromby certosino, “Analecta Cartusiana”: 84, Salzburg, Institut für Anglistik und Amerikanistik Universität Salzburg. Bligny, B., 1984, Saint Bruno le premier chartreux, Rennes, Ouest-France - Université. Brühl, C., 1978, Urkunden und Kanzlei König Rogers II. von Sizilien, Köln-Wien, Böhlau Verlag. Brunonis Carthusianorum Patriarchae 1524, Opera & Vita, Paris, Jodocus Badius Ascensius. Brunonis Carthusianorum Patriarchae 1611, Opera Omnia, Colonia, Apud Bernardum Gualtheri. Cenni storici locali del Glorioso Patriarca S. Brunone, con aggiunta affetti e preghiere 1916, Polistena, Tip. Morabito. Ceravolo T., 1999, Gli spirdati. 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